Prefazione


Io intendo la spiritualità come l’insieme delle sensazioni, emozioni, conoscenze, riflessioni, cognizioni, esperienze che gestiscono il rapporto fra le persone e Dio. È un bagaglio che si arricchisce di giorno in giorno, percorrendo il sentiero che porta a incontrare Dio; formando piano piano un tesoro d’inestimabile valore che ti permette di sentire e vivere Dio e la sua parola, che è la Bibbia. È come entrare in un’altra dimensione, accettando il fatto che l’uomo non è fatto di sola materia, e si cerca di concretizzare l’amore”, trasformandolo da non tangibile a tangibile. È un innalzamento dell’uomo a un piano superiore, un’evoluzione interiore, fino a conoscere l’amore come forza generatrice dell’universo e di tutte le cose, viventi e non viventi; l’amore che vince sulla morte; fino a conoscere l’amore di Dio insito in tutte le cose, che ti avvolge, ti penetra e ti scalda il cuore; fino a conoscere il senso della vita.

Il mio bisogno di spiritualità ha avuto un andamento iperbolico negli ultimi dieci anni, mi ha portato a leggere la Bibbia ben sei volte. La sua lettura è stata come la composizione di un puzzle, ogni pezzettino andava al suo posto sino a formare un quadro chiaro e meraviglioso. Ancora ho qualche tessera mancante, qua e là, non riesco a trovare alcuni tasselli. Uno di questi mi creava proprio dei problemi nell’iniziare questo libro, basato appunto sulla crescita spirituale. All’inizio del Sermone del monte, nel Vangelo di Matteo, viene riportato:


«Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.»

                                                            (Matteo 5:3)

Quest’affermazione, con tutto il rispetto che ho per la Sacra Bibbia, non mi tornava. Oltre a essere in assoluto contrasto con altre affermazioni sempre riportate sulla Sacre Scritture, è un controsenso, e i biblisti per sostenerla sono stati costretti a ragionamenti contorti, mentre invece le Sacre Scritture sono semplici e lineari, alla portata di tutti.

Alcuni studiosi cattolici mettono in dubbio quest’affermazione, infatti il teologo, biblista ed esperto in traduzioni greco-latine, nonché dottore in lettere Don Claudio Doglio, confrontando il sermone del monte scritto da Matteo con quello scritto da Luca, scrive:

In Luca noi troviamo l’espressione: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio»; in Matteo leggiamo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».
Due sono le differenze sostanziali, a parte la persona seconda o terza: Matteo adopera regno dei cielial posto di regno di Dio”, ma si tratta di espressioni equivalenti, per cui la differenza sostanziale è in realtà una sola; Matteo ha in più una parola, spirito”: «Beati i poveri in spirito …», mentre in Luca c’è solo: «Beati i poveri …».
Il problema dello studioso consiste nell’accertare se questa parola c’era nell’originale pronunciato da Gesù in lingua semitica, oppure se si tratta di un’aggiunta di Matteo. La risposta è unanime e convinta: sicuramente non c’era, quindi la formulazione primitiva è quella di Luca. Tuttavia, per rendere fedelmente il pensiero di Gesù, era necessario aggiungere in greco questa parola, per cui l’espressione di Matteo, anche se non rende alla lettera l’elemento originale di Gesù, è quella che comunica meglio l’idea che voleva comunicare Gesù.

Ne consegue che, secondo Don Claudio, il versetto (Matteo 5:3) dovrebbe essere correttamente scritto così:

«Beati i poveri, perché di loro è il regno dei cieli.»

A un’analisi ancora più approfondita, senza togliere l’espressione «in spirito», quindi senza essere costretti ad amputare il testo sacro scritto in lingua greca, nella traduzione dal greco al latino si rileva un errore che, se pur di lieve entità, basta a stravolgere il significato dell’intera frase, infatti sia in Matteo sia in Luca, il termine ptochòs, tradotto “povero”, in realtà è una parola che indica il misero mendicante. Nel linguaggio greco comune s’intendeva con “poverola persona che deve lavorare per vivere, mentre il termine ptochòs indica colui che si trova nella miseria più nera, il mendicante.
Da questo ragionamento, sostituendo la parola povericon mendicantisi ottiene la traduzione corretta del versetto di Matteo:

«Beati i mendicanti in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.»

Avete visto? Il significato cambia radicalmente: «Beato chi mendica lo Spirito Santo»; oppure «Beato chi elemosina lo Spirito Santo»; o semplicemente «beati quelli che chiedono lo Spirito Santo».

Giunto a questa conclusione (con molta umiltà, senza voler offendere nessun teologo o studioso biblico) mi rincuorai e…

cominciai a scrivere…



Maurizio Marrani